Due ore di immersione nel gusto più profondo e vero del vino di Roma e dei Castelli Romani.
Vinea Domini si presenta così, con tutti i crismi dell’eleganza e la meraviglia della tradizione al convito di addetti ai lavori, imprenditori e appassionati del settore che lo scorso 11 maggio hanno preso parte all’evento “Bibenda” organizzato dalla Fondazione Italiana Sommelier presso l’hotel Rome Cavalieri nella capitale.
È stato il dottor Paolo Lauciani, docente della Fondazione Italiana Sommelier ad aprire le danze e fare gli onori di casa alla serata completamente dedicata alla suggestiva linea proposta, a partire dal 2017, da Gotto d’Oro.
II senso del connubio profondo fra tradizione, territorio e prospettiva della nuova linea, si intuiva in realtà sin dal titolo scelto per l’evento: Vinea Domini: le vigne deiCastelli Romani.
Cardine della serata la relazione del professor Paolo Peira, consulente enologo del Gotto d’Oro, fra gli ideatori di Vinea Domini, della quale ci ha tenuto a spiegare l’origine che risale all’aprile del 2005, la sera dell’ascesa al soglio pontificio di Joseph Ratzinger.
Le prime parole pronunciate da Papa Benedetto XVI, subito dopo la sua elezione a successore di Pietro, furono infatti, ricorderete: «Dopo il grande Papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore». Ed ecco la chiave, o meglio la formula che ha ispirato Vinea Domini che in latino significa proprio “la vigna del Signore”, conferendo alla nuova linea di Gotto d’Oro – oltre tutti gli aspetti intrisi di natura e cultura, della terra e del vino – anche connotati mistici.
Fatto sta che, come in tutte le favole più belle, c’è il momento in cui l’incantesimo prende forma. Così la citazione colta ha iniziato a trasformarsi in realtà allorquando i responsabili della cantina Gotto d’Oro hanno iniziato a realizzare l’idea che le “vigne del Signore” ispiratrici potessero essere proprio quelle nelle quali sorgono, rilucono e vengono colti i grappoli dai quali i vini Gotto d’Oro traggono il loro nettare magico. Tutto ciò, peraltro, nell’area geografica, il circondario dei Castelli Romani che al centro hanno la perla rara rappresentata da Castel Gandolfo, residenza estiva molto amata da Papa Benedetto e cuore del vulcano laziale.
Così all’inizio del secondo decennio del nuovo secolo, dopo anni di lavoro appassionato, la nuova linea Vinea Domini ha preso vita, riscontrando il favore istantaneo della clientela.
L’idea madre, al di là della scintilla tra poesia e realtà, è ben precisa: incentrata sulle caratteristiche ben precise che un vino deve possedere: la lentezza nell’invecchiamento (sintonia tra vitigno e territorio, ovvero terroir) e la rispondenza al varietale, adattando la linea di processo partendo dal risultato che si intende ottenere.
Con queste premesse ha preso le mosse la degustazione, il momento più atteso, commentato proprio con sagge parole colme di ebbra passione proprio da Paolo Luciani e Paolo Peira i quali non hanno risparmiato nell’uso degli aggettivi da affiancare ai vari vitigni.
Così, sognando di sorso in sorso, si è passati dalle immagini olfattive che vanno dalla noce alla nocciola, fino alla nobiltà della mandorla e alla dolcezza autunnale delle castagne, riscontrabili nello Chardonnay, alle caratteristiche sorprendenti del Sauvignon, capace di incontrare e trovare rifugio persino nei gusti più tipici dell’estremo oriente, per tornare alla natura pastosa, rotonda e boscosa d’Oltralpe del Viognier. Vitigni internazionale, come pure il Petit Verdot o il proverbiale Syrah, la cui profumazione pregna degli afrori mediorientali dell’Antica Persia, è riuscito a diventare nei secoli protagonista assoluto anche nelle vigne e sulle tavole del BelPaese, anche nella sua variazione rosata.
Proprio come i cavalli di battaglia della tradizione vitivinicola e gastronomica del Lazio: dal Frascati Superiore Docg al Cesanese del Piglio docg, eccellenze del bianco e del rosso che creano un ponte ideale di confronto tra le vigne dei Castelli Romani e dell’alta Ciociaria fino a creare sintesi nel nome imperiale di Roma coi suoi doc, anche qui bianchi e rossi, che ci conducono ai colori e ai gusti che da sempre caratterizzano la storia di vino dell’Italia centrale: col Friccicore Malvasia del Lazio e il Luccicore, nomi che brillano sull’etichetta, prima di scendere allegri attraverso il palato a rinfrescare e dissetare i sensi del bevitore colto e esperto.
E sono, infatti, esattamente queste: la cura della cultura e dell’esperienza, da tradursi in primato del gusto e della bellezza, le prerogative con le quali Gotto d’Oro è pronto a confrontarsi con le sfide della modernità, senza venir mai meno al patto sancito nel lontano 1945 con tradizioni e territorio.
Sfide che il presidente Luigi Caporicci, con la passione e l’entusiasmo di sempre, è prontissimo a cogliere.
Perché Gotto d’Oro si conosce ma deve continuare anche a farsi riconoscere e a stupire,i clienti di sempre e quelli nuovi, quelli della bicchierata in famiglia come i giovani frequentatori di raffinate enoteche. Sarà per questo che, con evidente orgoglio, il dottor Caporicci ci ha tenuto ad annunciare alla platea scelta, la vera novità: Gotto d’Oro, infatti, è una delle pochissime cantine ad avere tra le proprie fila un direttore della qualità. Segnale evidente di due passaggi chiave: la consapevolezza delle complessità di cui i nuovi tempi sono intelaiati ma anche la volontà netta di capirli e riuscire a interpretarli al meglio i nuovi capitoli del presente, intramandoli in una storia grande che ha tutte le migliori intenzioni di voler continuare ancora a lungo nel futuro. Almeno fino a quando le donne e gli uomini non smetteranno di amare e di amarsi, brindando in calici ricolmi di meraviglia
Redazione
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