Capranica Prenestina IN TAVOLA; Gastronomia e specialità
scopri il territorio
”La cucina di un popolo è espressione della sua civiltà
e rientra direttamente nei valori della sua cultura”
CAPRANICA PRENESTINA
La gastronomia
Prodotti rinomati: i funghi, la ricotta, i formaggi (speciali le caciottine con latte di capra), la cicoria.
Piatti tipici: polenta con farina di granturco; gnocchi; fettuccine ai funghi porcini; ravioli con ricotta di pecora; Lane pelose (o andremmappe): larghe fettuccine realizzate con crusca di farina e acqua, senza aggiunta di uova, tagliate e strappate a mano e condite con sugo di castrato; abbacchio alla scottadito; fagioli con le cotiche; lumachine al sugo piccante (ciammaruchigli: tipiche del Monte Guadagnolo).
Una particolarità della zona sono i funghi: il posto di prestigio spetta ai porcini (ammaracci), ottimi e copiosi nei boschi di Capranica, soprattutto nei castagneti, ma sarà gustoso assaggiare gli ovoli (velocce), i galletti (valuzzi), cucinati soprattutto per il sugo della pasta, i prugnoli (spinaroli), la famigliola (funghi di quercia), i prataioli (prataroli), in quantità nelle praterie e di cui quelli bianchi si condiscono ad insalata. Sotto la neve, si nasconde l’agarico geotropo (spinarolo invernale), scovato dagli appassionati che non rinunciano ai funghi neanche d’inverno. Spettacolare è l’enorme fungo vacca (zinni vacca) dal sapore prelibato, un prataiolo gigante che arriva a pesare fino a tre chili.
Ed ecco una descrizione di Emilio Ferracci delle vivande tipiche deicoloni capranicotti della Campagna Romana:
Erano l’acquacotta, le sfoglie all’uovo e senza, la polenta, la pizza di granturco, il maritozzo di granturco, gli gnocchetti di granturco con i fagioli e le fave. Il tutto accompagnato da un quantità infinita di erbaggi spontanei e coltivati come i ramoracci, i giglifrati, le sarzafine, gli asparagi selvatici, broccoli, carciofi e zucchini romaneschi. I pomidoro “Pantano” ed ancora la bieta, la cicoria, la borragine, l’indivia, il crescione etc. Per non parlare poi delle varietà di erbe aromatiche selvatiche usate nelle minestre e nei condimenti.
Ma i capranicotti oltre ad essere provetti agricoltori cerealicoli erano anche adusi all’allevamento del bestiame, in special modo ovino e caprino e secondariamente suino e bovino. Così la carne entrava a far parte della loro dieta anche se in misura non superiore alle due o tre razioni mensili.
Il modo di cucinare le carni era limitato all’arrostimento ed alla bollitura. Infatti l’allesso era il tipico modo per cucinare la carne bovina. I pezzi di carne venivano messi nel callaro, il tipico grande pentolone della Campagna Romana, che stava al centro della capanna, sul focolare sempre acceso. Il callaro per l’acquacotta, il callaro per la polenta, il callaro per la sfoglia, il callaro per le erbe e gli ortaggi, il callaro per l’allesso. Era, il callaro, il vero centro della vita del colono, in un’epoca in cui bastava una stagione andata male per far comparire il problema fame.
Naturalmente l’allevamento ovino e caprino forniva anche i prodotti caseari tipici delle campagne laziali come la ricotta fresca, le caciotte ed il pecorino romano.
Per concludere queste brevi note sulla cucina degli agricoltori originari di Capranica Prenestina, voglio fare un accenno ai prodotti da forno. Il pane, di grano ma soprattutto di granturco, ovvero il già citato maritozzo che veniva arricchito con lo zibibbo; la pizza di polenta ed i dolci, con la pizza sbattuta innanzi tutto seguita da molti tipi di ciambelle e ciambelloni. Per Natale il panpepato ed il pangiallo, e nella Settimana Santa il pane dolce di Pasqua, usato all’alba della Domenica Santa insieme alla coratella d’abbacchio o di capretto, alle uova sode ed al salame corallina, in una colazione che ha molto del rituale pagano. Così come di origine pagana è la pupazza, un dolce che ha la forma di una donna regale, con un uovo chiuso nel grembo, come un’antica dea della fertilità. Ancora oggi, nelle antiche famiglie originarie di Capranica Prenestina, la domenica di Pasqua le nonne ne fanno dono alle nipoti, o alle mogli dei nipoti, come augurio di prosperità futura. Ed inconsapevolmente perpetuano così un rito antichissimo praticato dalle popolazioni agricole sin dalla notte dei tempi, cristallizzatosi nello scorrere dei secoli e che si manifesta ancora oggi, alle soglie del XXI secolo, sotto la forma di una creazione culinaria perché come ha detto Luigi Volpicelli: ”La cucina di un popolo è espressione della sua civiltà e rientra direttamente nei valori della sua cultura”.
Fonte: poetidelparco.it
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