Articolo a cura di Tiziano Pugliese, docente di educazione fisica e sostegno presso l’I.C. A.Volta di Latina, presidente e direttore tecnico della A.S.D FULL KONTACT LATINA, società, che dal 1993 si occupa di kickboxing, prepugilistica ed allenamento funzionale
Tutti, in un modo o nell’ altro, pratichiamo lo stretching, chi per stiracchiarsi come i gatti, chi a livello professionale. I muscoli e di conseguenza tutte le articolazioni ne giovano sicuramente. La flessibilità in generale quindi, è un aspetto da non trascurare, ma per dare i suoi benefici va curata tramite esercizi ben mirati e con tempi stabiliti. Per gli atleti agonisti di un certo livello però, e mi riferisco alle fasi pre-competitive o prima di allenamenti intensi, le cose cambiano.
Il nostro amato e odiato stretching, passivo o pnf (propriocettività neuro-muscolare facilitata), prima di una competizione, peggiora la prestazione stessa, tranne quelle che prevedono importanti escursioni articolari, tipo danza classica, contorsionismo etc.. Ma dirò di più, è stato dimostrato che lo stretching non risulta efficace nemmeno come prevenzione degli infortuni.
Perché tale fenomeno ?
L’allungamento provoca all’interno del muscolo delle tensioni elevate, le quali determinano una interruzione dell’irrorazione sanguigna, (pensate ad uno straccio bagnato quando viene strizzato), che a sua volta va a negare l’effetto vascolarizzate.
La pratica dell’allungamento quindi, non solo non consente un riscaldamento muscolare corretto, ma va a diminuire il flusso sanguigno, indispensabile per la successiva ed imminente competizione o allenamento ad alta intensità.
La seconda considerazione da fare, è che con lo stretching vengono stimolati alcuni recettori, meglio conosciuti come fusi neuro-muscolari e organi del Golgi, i quali inducono un rilassamento e un conseguente allungamento del muscolo. Non esattamente come dovrebbe presentarsi subito prima di una performance.
In sostanza, è proprio tramite lo stretching, che tali recettori riescono a sopportare sempre di più il dolore, tutto a favore di un maggiore allungamento.
Funziona proprio cosi. I fusi neuro-muscolari si “abituano al dolore” provocato dallo stiramento controllato del muscolo e con il passare del tempo lo fanno sempre di più.
Esperimenti eseguiti su persone in anestesia totale, hanno dimostrato una flessibilità di gran lunga maggiore e senza traumi al risveglio.
La maggiore escursione articolare, avviene quindi per una sorta di assopimento dei ricettori del dolore, che in questo modo, tramite costanti e sempre più profondi allenamenti , provocano a loro volta tolleranze maggiori (stretch-tolerance).
Sono i fusi quindi, e il minor dolore da abitudine, a determinare l’allungamento progressivo del muscolo, ma ciò non riduce la frequenza degli infortuni.
Detto questo, risulta facile capire, come l’allungamento prolungato di un gruppo muscolare, sia in grado di far diminuire in modo generale la forza contrattile, come pure la velocità e la resistenza alla forza e questo stato permane a di distanza di tempo.
In definitiva, “strecciare” prima di una gara, equivale a performance più scadenti, alcuni lo chiamano creeping.
Durante lo stretching, oltre al muscolo, anche il tendine si allunga. In questo caso, insieme ad un guadagno in escursione articolare, si verifica sempre una minor capacità del tendine stesso di immagazzinare energia. Questo fenomeno risulta essere reversibile, ma con una latenza talmente importante, che è controproducente indurre lo stretching nel corso del riscaldamento o prima dello svolgimento di una disciplina sportiva (proviamo a pensare alla partenza in una competizione sui 100 metri piani)
L’alternanza dell’azione di contrazione tra i muscoli agonisti ed antagonisti, nella maggior parte dei casi, risulta essere un sufficiente allungamento dei muscoli interessati.
L’allungamento passivo, sollecita i muscoli allo stesso modo dell’allenamento della forza e favorisce quindi un microtraumatismo all’interno delle fibre muscolari, a cui si attribuisce l’insorgenza del dolore ed il successivo ripristino.
Ecco perché alcuni atleti utilizzano lo stretching alla fine di un allenamento intenso, proprio per danneggiare ulteriormente le miofibrille (se così si può dire), inducendo così una maggiore supercompensazione a vantaggio di un più massiccia riparazione e sviluppo muscolare.
I miei atleti ad esempio, lo svolgono accuratamente in “giorni dedicati” con particolare attenzione a tutti i muscoli respiratori per un maggior apporto di ossigeno. Prima di una gara e anche in palestra dopo il riscaldamento invece, faccio eseguire precise tecniche di “pompaggio” (tramite specifici esercizi), che permettono una vero e proprio apporto di sangue ai muscoli, per ottenere il massimo durante tutta la performance.
Il “riscaldamento pre-gara o pre-allenamento”, meriterebbe un capitolo a parte…forse in uno dei prossimi articoli
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